A Roma, nel quartiere Trionfale, dove sorge la Chiesa dedicata al Santo, si svolge la sagra delle frittelle.

L’usanza è un retaggio di antiche feste pagane, le Liberalia, in onore del Dio Libero antica divinita’ Italica della Fecondazione, assimilato a Dioniso.

Questi baccanali, instaurati nel 496 a.C. dal dittatore Postumio, si celebravano a Roma il 17 marzo presso il foro Boario, nel tempio dedicato a Libero e a Cerere.

In quel giorno gli adolescenti indossavano per la prima volta la toga virile e giravano in trionfo, per le vie della citta’ e per le campagne su un carro su cui troneggiava un fallo.

Durante i festeggiamenti le donne piu’ vecchie, coronate di edera, accendevano fornelli lungo le strade con rami di pino e friggevano focacce in onore delle due divinita’, per ricordare l’introduzione del frumento a Roma, e tutti mangiavano uova, simbolo della fecondita’.

Quando il Cristianesimo aboli’ le feste pagane, la festa di San Giuseppe sostitui’ le Liberalia, ma il popolo continuo’ a preparare le tradizionali frittelle.

La fantasia popolare invece attribuisce la nascita delle frittelle al mestiere del falegname esercitato da San Giuseppe, che le avrebbe fritte accendendo un fuoco con i trucioli accatastati nella sua bottega.

In tempi non troppo lontani i friggitori per la festivita’ addobavano sfarzosamente le loro botteghe, invitando i clienti con sonetti improvvisati, ne’ mancavano i friggitori estemporanei che allestivano grosse padelle sulla strada in cui friggevano miriadi di frittelle dorate e croccanti, sistemate a piramide su tavolini traballanti.

Naturale evoluzione e golosa alternativa alle rustiche frittelle sono i piu’ delicati e leggeri bigne’, anch’essi tradizionali per onorare San Giuseppe.

Nonostante il termine sia di derivazione francese, i bigne’ possono farsi risalire a certe frittelle dell’antica Roma preparate facendo cuocere la farina nell’acqua per ottenere un impasto che, una volta raffreddato veniva tagliato a pezzi, poi fritti nell’olio e cosparsi di miele.

La leggenda, raccontata da Luigi Callari in “Luci ed ombre della Roma Papale”, vuole che i bigne’ alla crema siano stati inventati nell’Ottocento da tal Folloni, caffettiere con bottega in Piazza Pasquino, gia’ noto per una sua specialita’, lo “Squaglio di Cioccolato” , bevanda divenuta di moda in quel secolo.

Dame e cavalieri affollavano il suo locale per sorbire la deliziosa specialita’, e gli affari andavano tanto bene che Folloni era riuscito ad accumulare una discreta fortuna e permettersi il lusso di carrozza e cavalli.

La sua fama si consolido’ nel giorno di San Giuseppe di un anno imprecisato quando, indossati grembiale e berretto bianchi, aveva cominciato a dispensare un’altra sua specialita’, i bigne’ fritti, inventati per l’occasione, riscuotendo un nuovo clamoroso successo.

Sembra che Folloni, oltre ad essere dotato di intuito e inventiva, avesse anche la battuta pronta, ad un cliente che gli chiedeva come avesse fatto ad inventare quella delizia, avrebbe risposto :”Se pija un buco e ce se mette attorno la pastella!”.

Tutta la storia pero’ ha il sapore di leggenda metropolitana perche’, guarda caso, a Napoli circola una storia analoga.

Anche qui nel giorno di San Giuseppe vi era la tradizione di preparare delle ciambelle fritte di acqua e farina, passate poi nel miele e decorate con confettini colorati, chiamate Zeppole.

Si racconta che la trasformazione in Zeppola bigne’, guarnita di crema e chiamata Zeppola di S. Giuseppe per distinguerla da quella semplice, sarebbe stata opera del pasticcere Don Pasquale Pintauro con bottega in Via Toledo a Napoli.

Egli presento’ la sua variante il 19  marzo 1840, riscuotendo tale successo da ricevere una onorificienza dal re Ferdinando di Borbone.

Dunque a chi spetta la paternita’, a Folloni o a Pintauro?

Purtroppo non è nota la data dell’episodio romano, quindi non è possibile stabilire una priorita’.

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